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Anche nella XIV Legislatura la “lobby” psicocratica – forte dell’inatteso ed insperato megaspot dell’11 settembre sulla “pazzia umana” – continua indefessa il proprio logorio ai danni della libertà, alzando il “tiro” e “confessando” apertamente la meta ultima: le toghe bianche – gli psichiatri – al potere, giudici insindacabili per qualsiasi persona e per qualsiasi situazione. Infatti i firmatari del presente Disegno di Legge (che fa seguito al precedente Disegno di Legge 6186) ritengono «che sarebbe opportuno attribuire maggiore valenza alla perizia psichiatrica che, oltre a comportare un primo livello di indagine volto a definire le caratteristiche di personalità della supposta vittima, al fine di dedurne in astratto la sottoposizione a meccanismi plagiari, dovrebbe articolarsi in un successivo livello di indagine, volto ad analizzare il rapporto personale tra supposto autore e supposta vittima. […] La prassi psichiatrico-forense documenta che la valutazione del rapporto interpersonale si qualifica come metodologicamente determinante ai fini di un eventuale giudizio.»

A cosa servirebbero, in ultima analisi, queste pratiche psichiatrico-forensi? A contrastare «il dilagare in Italia di attività, pericolose e devastanti per l’individuo, di singoli od organizzazioni di potere, anche mascherate da pratiche religiose (ci risiamo – N.d.R.), che con il loro potere continuano a perpetrare in maniera dilagante i meccanismi persuasivi e suggestivi tali da diminuire i poteri di difesa e da condizionare la volontà dei soggetti passivi coinvolti.» Peccato che, contrariamente alla prassi giuridica, i relatori capeggiati dal senatore Meduri rimangano sul vago, sull’astratto, senza dire chi siano gli individui o le organizzazioni che continuano a perpetrare crimini di manipolazione psicologica, né quali siano, in concreto, tali manipolazioni. È ovvio che con tanta vaghezza, tanta astrazione, il rischio di creare casi ad hoc è elevatissimo. Se non si vuole andare avanti nell’ambiguità dell’errore giudiziario, è necessario perseguire crimini certi supportati da prove certe, non da “deduzioni in astratto”.

SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGE N°800

d’iniziativa dei senatori

MEDURI, COZZOLINO, CRINÒ, BATTAGLIA Antonio, BEVILACQUA, SEMERARO, D’IPPOLITO VITALE, PELLICINI, CURTO, DEMASI, GRILLOTTI, ZAPPACOSTA, TOFANI, GENTILE, DEGENNARO, TREMATERRA e NOCCO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 6 NOVEMBRE 2001

Norme per contrastare
la manipolazione psicologica

Onorevoli Senatori. — Dai recenti atti terroristici compiuti negli Stati Uniti d’America, dovremmo trarre motivo di riflessione profonda sulle «ragioni» che possono spingere un essere umano a diventare un «kamikaze».

Se l’atto terroristico in se stesso potrebbe avere un suo perverso senso ed una sua diabolica logica (ovviamente e comunque non condivisibili), nell’analisi dei contesti socio-politici ed ambientali in cui esso viene progettato, l’idea stessa di uomini che immolano se stessi è totalmente e incontrovertibilmente contro quell’istinto di conservazione che permea la natura stessa di ogni essere vivente, e quest’idea porta ad un’unica possibile deduzione: i «kamikaze» diventano tali in virtù dell’opera di manipolatori mentali, i quali si servono di tecniche psicologiche subdole e sofisticate, spesso abbinate alla somministrazione di sostanze chimiche (come allucinogeni, droghe, psicofarmaci depersonalizzanti, eccetera), come dimostrano gli studi compiuti da Margareth Singer, G. De Gennaro, M. Gullotta, Jania Lalich e gli scritti di Randall Watters, G. Flick, Ted Patrick.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 8 giugno 1981, n.96, rilevando un contrasto tra l’articolo 603 del codice penale («Chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni») e gli articoli 21 e 25 della Costituzione, dichiarò la illegittimità della norma che configurava il delitto di plagio, ponendo così termine all’esistenza di una disposizione che nel cinquantennio del «Codice Rocco» non aveva trovato frequenti occasioni di applicazione.

Si legge nella sentenza: « … la norma denunciata vìola il principio di tipicità di cui all’articolo 25, in quanto appare sfornita nei suoi elementi costitutivi di ogni chiarezza. Il legislatore, prevedendo una sanzione penale per chiunque sottoponga una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione, avrebbe in realtà affidato all’arbitraria determinazione del giudice l’individuazione in concreto degli elementi costitutivi di un reato a dolo generico, a condotta libera e ad evento non determinato. Il pericolo di arbitrio, sotto il profilo della eccessiva dilatazione della fattispecie penale, sarebbe tanto più evidente considerando come il riferimento al “totale stato di soggezione” può condurre ad un’applicazione della norma a situazioni di subordinazione psicologica del tutto lecite e spesso riconosciute e protette dall’ordinamento giuridico, quali il proselitismo religioso, politico o sindacale. D’altra parte non conferirebbe maggior chiarezza alla determinazione concreta della fattispecie, l’osservazione che la soggezione psichica deve essere “totale”.

… Per quanto riguarda l’articolo 21 della Costituzione, … la libertà di manifestazione del pensiero incontra un limite nell’interesse dell’integrità psichica della persona, solo in quanto si concretizzi in mezzo di pressione violenta o subdola, quali la minaccia o la frode; ciò stante, l’evento della soggezione psicologica di un soggetto ad altro soggetto, in quanto risultante dall’adesione ai modelli di comportamento da altri proposti, non può costituire illecito senza intaccare il diritto costituzionalmente protetto …».

Non si vuole in questa sede rimettere in discussione, a tanta distanza di tempo, le decisioni della Corte costituzionale, che rappresentano ormai un punto fermo e immodificabile nel nostro ordinamento giuridico, ma soltanto chiarire che la cancellazione del reato di plagio, così com’era formulato nell’articolo 603 del codice penale, non può essere intesa come negazione del plagio sul piano fenomenico.

Il problema è anzi quanto mai attuale, posto che il plagio e le dinamiche plagiarie costituiscono, oggi più che in passato, una realtà sul piano dei rapporti interpersonali, con concreti rischi nei confronti della libertà individuale ed in particolare nei confronti della salvaguardia dell’identità personale.

Da qualche parte si è più volte tentato di assimilare il plagio alla circonvenzione di incapace.

Giova ricordare che il reato di plagio, nella specifica formulazione, presupponeva un totale ed illimitato stato di soggezione, tanto che si qualificava nei delitti contro la persona (titolo XII del Libro II del codice penale), ovvero tra i delitti contro la libertà individuale (capo III del titolo XII) e, in particolare, tra i delitti contro la personalità individuale (sezione I del capo III sopraccitato), al pari della riduzione in schiavitù, della tratta, commercio, alienazione e acquisto di schiavi. Mentre la circonvenzione di incapace (articolo 643 del codice penale) rientra tra i delitti contro il patrimonio ed in particolare tra i delitti contro il patrimonio mediante frode (vedi capo II del titolo XIII, libro II del codice penale), al pari della truffa, dell’insolvenza fraudolenta, dell’usura, dell’appropriazione indebita, della ricettazione eccetera.

Il plagio concerneva i casi di sottoposizione di una persona al proprio potere, mentre le ipotesi riconducibili alla circonvenzione di incapace non configurano un totale ed illimitato stato di soggezione, ma vari meccanismi di coazione della volontà e di cooptazione del consenso, volti a indurre una persona a compiere un atto che comporti qualsiasi effetto giuridico per sé o per altri dannoso.

La necessità di distinguere le due fattispecie scaturisce quanto ai fini e agli effetti, alle diverse situazioni in cui si realizzano condizioni di soggezione psichica, tenendo conto delle situazioni di danno in concreto che ineriscono alle dinamiche plagiarie.

Pur senza alcun rimpianto per la fattispecie abolita dalla Corte costituzionale, che era giuridicamente evanescente ed insostenibile e fonte di possibili errori e abusi in sede giudiziaria, occorre riconoscere che si è realizzato un vuoto di tutela della personalità nei riguardi delle dinamiche descritte.

Questo vuoto normativo è servito, da un lato, a creare nella pubblica opinione la convinzione che il plagio non esista più; dall’altro, a fornire maggiori possibilità ai «manipolatori della mente umana» di continuare a usare e a rafforzare le loro condotte illecite con tutta tranquillità, nella certezza di non correre alcun rischio legale. Tutto ciò spiega il dilagare in Italia di attività, pericolose e devastanti per l’individuo, di singoli od organizzazioni di potere, anche mascherate da pratiche religiose, che con il loro potere continuano a perpetrare in maniera dilagante i meccanismi persuasivi e suggestivi tali da diminuire i poteri di difesa e da condizionare la volontà dei soggetti passivi coinvolti. Tali meccanismi si innescano, infatti, ogni qualvolta ci si trovi in presenza di:

a) un rapporto di prevalenza del soggetto attivo su quello passivo, tale che comporti il totale assorbimento del secondo nella sfera dell’influenza del primo in conseguenza di specifiche e reiterate attività di quest’ultimo;

b) la separazione del soggetto passivo dal contesto sociale da lui autonomamente scelto;

c) la previsione e la volizione dell’evento da parte del soggetto attivo.

A nostro parere, infatti, uno stato di soggezione, comunque attuato, comunque subito o cercato dal soggetto passivo, comunque strutturato all’interno (nei rapporti tra agente e soggetto passivo), si risolverebbe pur sempre ed univocamente in una preclusione e in un impedimento alla prosecuzione o instaurazione di rapporti autonomi tra il soggetto passivo e i terzi.

Si dovrebbe, pertanto, garantire che il rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo non diventi talmente assorbente ed esclusivo, da impedire che il soggetto passivo possa, di volta in volta, verificarlo criticamente alla luce di altri rapporti.

Nel lamentare la violazione dell’articolo 25 della Costituzione, la Suprema corte ripetè più volte che, a base del principio invocato, stava in primo luogo «… l’intento di evitare arbìtri nell’applicazione di misure limitative di quel bene sommo ed inviolabile costituito dalla libertà personale e che, per effetto di tale principio, onere della legge penale fosse quello di determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l’interprete, nel ricondurre un’ipotesi concreta alla norma di legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento controllabile».

Concordi con quanto allora stabilito dalla Corte costituzionale, riteniamo che sarebbe opportuno attribuire maggiore valenza alla perizia psichiatrica che, oltre a comportare un primo livello di indagine volto a definire le caratteristiche di personalità della supposta vittima, al fine di dedurne in astratto la sottoposizione a meccanismi plagiari, dovrebbe articolarsi in un successivo livello di indagine, volto ad analizzare il rapporto personale tra supposto autore e supposta vittima.

Un’indagine approfondita si rende, infatti, necessaria per stabilire se si è realizzata o meno una dinamica in virtù della quale la volontà di una persona si è imposta su quella dell’altra, al punto da determinarne le direttive e da costringerla ad agire in contrasto con gli interessi propri e altrui.

La prassi psichiatrico-forense documenta che la valutazione del rapporto interpersonale si qualifica come metodologicamente determinante ai fini di un eventuale giudizio.

Con il presente disegno di legge si vuole prevedere, conferendo un più puntuale contenuto, una norma che contempli e sanzioni allo stesso tempo il reato di manipolazione psicologica.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1

1. Chiunque, mediante violenza, minacce, suggestioni o con qualunque altro mezzo, condizionando e coartando la formazione dell’altrui volontà, pone taluno in uno stato di soggezione tale da escludere o limitare la libertà di agire, la capacità di autodeterminazione e quella di sottrarsi alle imposizioni altrui, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

2. Costituisce aggravante se tramite i mezzi indicati al comma 1, la vittima è indotta a compiere atti lesivi o pericolosi per la propria o per l’altrui integrità fisica o psichica.

3. Se i fatti previsti nei commi 1 e 2 sono commessi in danno di persona minore di anni diciotto, la pena non può essere inferiore a dieci anni di reclusione.


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