del 7 luglio 2001 Il fondatore di Emergency parla del
traffico dorgani Strada: «Scoviamo i Mengele in doppiopetto di Gian Guido Vecchi MILANO «Non sto parlando di ciò che basta a far vivere dignitosamente me e la mia famiglia, e magari invitare gli amici a ristorante. Ma se un medico accetta di arricchirsi sulla pelle di chi sta soffrendo, di chi ha il cancro, la leucemia, lAids o semplicemente è vecchio tradotto: medicina privata , beh, allora qualcuno deve dirmi come spiego a mia figlia che non deve rapinare una banca». La voce di Gino Strada, chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, ronza dal satellitare che sè portato dietro a Kabul. In Pappagalli verdi ha raccontato dun bimbo in coma lasciato morire in un ospedale peruviano, «i suoi genitori, credo, stavano ancora correndo per le farmacie di Ayachuco a comprare antibiotici e fleboclisi e i farmaci per lanestesia e le bende elastiche e la lama del bisturi che non avrebbe fatto a tempo a operare il loro bambino». Ed è a quel piccolo, dice, che pensa dopo aver letto il «fondo» che Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, ha dedicato ai traffici dorgani, i corpi usati come oggetti, la «perdita di standard etici condivisi» cui sta andando incontro la professione medica, i tanti dottor Mengele che sono fra noi. Che ne dice, dottore? «Della Loggia ha ragione, sottoscrivo in pieno, qui si gioca tutta letica della nostra professione. Però, attenzione: il rischio da evitare è chiedersi quanti Mengele ci sono fra noi, perché qui non è un problema di Mengele. Se il presupposto del nostro mondo è che esiste un solo valore, cioè il denaro, allora apriamo le porte a tutti i Mengele possibili, dentro e fuori la medicina. Mostri che hanno la faccia da mostri, anzi: si presentano bene, pure eleganti. Come i signori che accompagnano i figli allasilo e poi, in ufficio, progettano mine antiuomo che taglieranno a metà altri bambini». Scusi, ma che centra con il traffico di organi? «Centra, centra. Storie come quella del medico cinese che prelevava organi dai condannati a morte fanno accapponare la pelle, ma quando ne avremo contati cento o duecento, di Mengele, saremo soddisfatti? Eh no, il problema è più a monte e ha a che fare con la globalizzazione». In che senso? «Nel senso che bisogna avere il coraggio di cercare i Mengele in doppiopetto che fanno i soldi sulla sofferenza. La logica è la stessa. Tutti gli ospedali di Emergency in giro per il mondo vivono questa situazione grottesca: noi, privati, siamo gli unici a fare sanità pubblica. Gli altri, i pubblici, fanno sanità privata. Qui in Afghanistan si paga tutto, come in Africa e in tutti i Paesi poveri. Tra laltro: io sono di Milano, e devo dire che il famoso modello lombardo è uno degli esempi più incredibilmente simili al Terzo Mondo». Prego? «Ma sì, vogliamo arrivare a quel punto, noi che invece possiamo permetterci di pagare le cure a tutti? La sanità pubblica, in Italia, è una buona sanità. La "malasanità" è fra i privati. Ci fosse vera concorrenza, scomparirebbero: sono loro, i protetti. Basterebbe interrompere le convenzioni, cifre da paura, per dare stipendi decenti al personale, migliorare strutture e ricerca. E poi che ci costa, a noi, trentamila lire al mese? Ma ben venga, sono quattro pacchetti di Marlboro, che diavolo... ». Non è un po troppo duro verso la sanità privata? «Questa obiezione riflette la logica della pretesa globalizzazione. È il punto di vista dellItalia ricca. Anche lItalia povera, che è tanta, troppa per un Paese civile, è privilegiata rispetto al resto del mondo. La media del mondo, scusi, vive nella merda più nera. Non sa "se" mangerà domani, non "che cosa"». E allora che cosa dovrebbe fare la sua categoria? «Se un medico ha una coscienza etica, deve esser semplicemente uno che cerca di salvare la vita delle persone, o magari farle morire in modo più dignitoso. Che è un lavoro, come fare il panettiere. In fin dei conti il medico è un lavoratore del settore pubblico, incaricato di seguire la cosa più importante di tutte: la nostra pelle. Non dico che debba andare in giro con i jeans e le toppe, ma una misura ci vuole. Se il mio paziente diventa mio cliente, è brutta». Però gli Stati Uniti non sono un Paese del Terzo Mondo... «No, sono il risultato finale di quello che qualcuno vorrebbe fare in Italia. Un disastro. Se a New York cadi e sbatti la testa per terra, prima devi dimostrare se sei assicurato e puoi permetterti le cure, e solo dopo, se hai passato lesame, soccuperanno della tua testa. A me sembra poco civile, poco umano, e anche un po da pirla». E la questione della ricerca scientifica, dei limiti delle due applicazioni? «Ci sono problemi etici legati alla ricerca, ma non sono disposto a discuterne con le multinazionali che vogliono brevettare il genoma. Sono faccende che vanno affrontate democraticamente, non solo da medici ma da tutte le persone di buona volontà». Cosa dice a chi obietta che i discorsi antiglobalizzazione sono ideologici? «Mica tanto, direi. In Afghanistan la guerra dura da più di ventanni. Sullo sfondo cè una ben nota competizione fra una multinazionale americana, la Unocall, e una argentina, la Bridas, per chi si aggiudicherà il passaggio degli oleodotti e gasdotti che devono attraversare il Paese. Altro che ideologia. La logica estrema della globalizzazione è la guerra: il mondo è una giungla, ciascuno prenda quel che può». E per la sanità, qual è il pericolo? «Sto rileggendo la prefazione che Giulio Alfredo Maccacaro scrisse trentanni fa a "La medicina del capitale" di Polack: fino a un certo punto della storia, la gente non moriva in base al reddito, la morte era davvero "a livella", ora invece le cose sono cambiate. Se vogliamo parlare di diritti umani parliamone, ma non mi interessa se devono valere solo per una parte e non per tutti». Esempio? «Si parla del medico cinese che ha testimoniato in America, ma il problema è aperto da dieci anni: che alcuni dei maggiori centri chirurgici americani avessero disponibilità di organi così, puf!, appena serviva, ha fatto nascere dei dubbi... Oppure: Milosevic è un cattivone, daccordo, ma cè forse qualcuno che parla dei diritti umani in Cina? Certo che no. perché, nella loro logica, chi è quel pirla che si taglia i ponti con un mercato di un miliardo e duecentomila persone? Mi viene in mente unimmagine degli indiani dAmerica». Che immagine? «Quando passano sui territori dove sono sepolti i loro morti, scendono da cavallo e ci girano intorno: sono aree sacre, di cui avere rispetto. Per la sanità, per i diritti umani, dovrebbe essere lo stesso. Che almeno si abbia la decenza di fare profitto su altre cose». |
Se sei entrato in questa pagina tramite motore di ricerca e vuoi entrare nel sito clicca qui
FREE SOULS