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T.E.C. – nota del Ministero della Sanità
del 13 marzo 1999

«Sono noti l’uso improprio e l’abuso che hanno caratterizzato tale pratica. Al di là delle modificazioni procedurali con le quali oggi può essere effettuata, si deve ribadire che, nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non è stato ancora chiarito in maniera precisa il meccanismo d’azione della TEC». Con queste parole il Ministro della Sanità, signora Rosy Bindi, emula il più noto Ponzio Pilato, elencando rischi ed effetti collaterali, ammonendo che non si è ancora capito bene come funziona (e cosa accade ai pazienti-vittime-cavie), ciononostante demanda a “protocolli scientifici” e a “professionisti scientifici” (cioè gli psichiatri) la decisione di utilizzare o meno la TEC – il nuovo nome “scientifico” dell’elettroshock –, il quale viene continuamente, e tranquillamente, somministrato nei nostri ospedali, sia pubblici che privati, con il beneplacito, appunto, del Ministro della Sanità, signora Rosy Bindi.

Quali siano le implicazioni etiche in detta cura sanitaria sono di per sé ovvie: la TEC risulta essere una summa di violazioni dei Diritti Universali, a partire dal fatto che consta nella somministrazione dolorosa di una potente scarica elettrica nelle tempie dei pazienti. Cosa ci sia di “scientifico” in ciò è puro mistero. Sarebbe come dire che se si riempie di botte una persona fino al punto da causarle convulsioni, essa “migliorerà” la propria sfera intima, il proprio carattere psicologico. Peccato che rischi seriamente, come documentato dalla letteratura scientifica: lesioni cerebrali occupanti spazio, ipertensione endocranica, emorragia endocranica recente, infarto miocardico e altre malattie cardiovascolari, distacco retinico, ipertensione grave, feocromocitoma, malattie degenerative gravi dell’apparato osteoarticolare

Per quanto riguarda la supposta efficacia della TEC, essa consiste nel fatto che il “soggetto” diventa improvvisamente “tranquillo” e mansueto, disponibile al “dialogo” e soprattutto all’ “ubbidienza”, rientra cioè nei canoni psichiatrici di “persona non socialmente pericolosa”. È esperienza comune che dopo aver preso una scossa armeggiando i cavi elettrici domestici, si rimane per un po' di tempo in uno stato di “ridotta vivacità”; negli incidenti più gravi, laddove una persona rimane collegata al flusso elettrico per una durata notevole, tale “ridotta vivacità” diventa permanente, e il soggetto malcapitato diventa un invalido civile. Se ne potrebbe ricavare un film, magari il seguito di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, titolandolo, questa volta, “Se questa è una cura”.


MINISTERO DELLA SANITÀ

MARZO 1999

TERAPIA ELETTROCONVULSIVANTE T.E.C.

Il Ministro della Sanità, preso atto dei pareri espressi sulla terapia elettroconvulsivante, espressi rispettivamente dall’Osservatorio per la tutela della Salute Mentale e dal Consiglio Superiore, invita codeste amministrazioni a diffondere il contenuto della presente, che modifica la precedente nota sull’argomento, trasmessa alle SS.VV. il 2 dicembre 1996.

Premessa

L’orientamento che attualmente prevale nel campo della salute mentale riconosce l’esigenza di una integrazione articolata dei diversi tipi di intervento; da un lato quelli orientati alla prevenzione dei disturbi mentali, dall’altro quelli terapeutico-riabilitativi. Questi ultimi comprendono sia trattamenti biologici e psicologici, che interventi psicosociali.

Tale orientamento comporta che la malattia mentale venga trattata evitando, non solo l’esclusione prodotta da un’ospedalizzazione ingiustificatamente protratta, ma anche l’uso di singoli interventi terapeutici, che possono risultare fini a se stessi se separati da un contesto complessivo di presa in carico del paziente psichiatrico, che prevede sempre un intervento integrato, in tutte le fasi della malattia.

La pratica della terapia elettroconvulsivante ha una storia che la colloca tendenzialmente al di fuori del suddetto orientamento. Sono noti l’uso improprio e l’abuso che hanno caratterizzato tale pratica. Al di là delle modificazioni procedurali con le quali oggi può essere effettuata, si deve ribadire che nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non è stato ancora chiarito in maniera precisa il meccanismo d’azione della TEC. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto in passato, si ritiene oggi che la convulsione generalizzata sia insufficiente a spiegare l’efficacia terapeutica del metodo, e che siano fondamentali altri fattori, al di là della convulsione (Sackeim, 1994).

Pertanto, non solo vanno rapidamente abbattute le pratiche ancora frequenti di impiego selvaggio della terapia, con un ventaglio ampio di indicazioni diagnostiche e di numero di applicazioni, non scientificamente fondati, ma va anche ribadito che il suo impiego deve essere regolato dalle evidenze scientifiche prodotte in letteratura ed in particolare dai risultati di studi clinici controllati, condotti in modo rigoroso.

Si deve anche prendere atto del fatto che, come dichiarato dal Comitato Nazionale di Bioetica ("Parere del CNB sull’eticità della TEC", 1995, p. 7), «la psichiatria attualmente dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale, al punto tale che la TEC risulterebbe quasi desueta in Italia, almeno nelle strutture pubbliche, sia universitarie che del Servizio Sanitario Nazionale».

Indicazioni d’uso, controindicazioni, reazioni avverse

Rispetto all’epoca in cui fu inventata e proposta la TEC (1938), oggi tutta la letteratura che ne propone l’utilizzazione è concorde nel ritenere che si debba praticare in situazioni cliniche ben circoscritte e secondo protocolli specifici, mirati alla massima tutela del paziente, con anestesia generale e miorisoluzione, per evitare complicanze di ordine muscolo-scheletriche.

Come per qualsiasi altro intervento terapeutico, e a maggior ragione per una terapia di cui non è noto il meccanismo d’azione e che è stata oggetto di prese di posizione polemiche, qualsiasi decisione concernente l’uso e le indicazione della terapia elettroconvulsivante, deve essere fondata su evidenze scientifiche relative alla sua efficacia, ad un vantaggioso profilo "rischi-benefici", al confronto con terapie alternative, a considerazioni etiche.

Le evidenze scientifiche più adeguate a valutare l’efficacia di una terapia sono quelle che scaturiscono dalla Sperimentazione Clinica controllata e che sono riscontrabili nella letteratura scientifica accreditata.

La disamina di tali evidenze consente di affermare che la TEC è considerata ancora oggi un’opzione terapeutica che va, tuttavia, riservata a pazienti affetti da episodio depressivo grave con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD 10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera ed accertata farmacoresistenza e nei casi nei quali è controindicato l’uso di psicofarmaci, nei casi documentati di precedenti e gravi effetti collaterali imputabili agli antidepressivi.

È solo, quindi, per un gruppo limitato di pazienti che la terapia elettroconvulsivante si è dimostrata talora efficace in modo convincente, specie nella risoluzione dell’episodio acuto.

La dimostrazione di efficacia negli episodi depressivi gravi, con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio, è accompagnata dall’evidenza di frequenti ricadute e dal ricorrere di disturbi mnesici circoscritti, sia pure transitori.

Questi possono diventare più accentuati ed anche irreversibili nel caso di ripetizione di cicli di TEC, come le ricadute inducono a fare, o di insufficiente intervallo fra le applicazioni.

Si deve, tuttavia, ricordare che nel sottogruppo dei pazienti depressi "non responders", la percentuale di coloro che rispondono alla TEC non supera il 50% (Devanand et al., 1991; Prudic et al., 1989; Sackeim et al., 1990a; 1990b).

Questi autori hanno anche sottolineato che la non-risposta al trattamento farmacologico è predittiva, in circa un caso su due, di una mancata risposta anche alla TEC probabilmente per un meccanismo di resistenza crociata alla TEC ed al TCA.

In particolare si deve qui ribadire che, a parte l’episodio depressivo grave, con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio, le altre forme di depressione non costituiscono indicazioni al trattamento.

Altre indicazioni per la terapia elettroconvulsivante sono state segnalate nel caso di:

— pazienti affetti da forme maniacali resistenti alla terapia farmacologica;

— di pazienti affetti da sindrome maligna da neurolettici (qualora la sospensione dei neurolettici e la terapia di supporto non abbiano modificato il quadro);

— pazienti affetti da catatonia maligna.

Tuttavia, in questi casi, le evidenze provenienti da studi clinici controllati sono limitate e metodologicamente discutibili.

Non vi è alcuna evidenza relativa all’efficacia della TEC nei disturbi di tipo schizofrenico; pertanto il suo impiego in questo ambito clinico è da considerarsi ingiustificato.

L’ipotesi secondo cui la TEC avrebbe una indicazione elettiva nelle condizioni cliniche nelle quali è richiesta una remissione sintomatologica rapida, è da considerarsi come non scientificamente provata.

La dimostrazione di efficacia negli episodi depressivi gravi, con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio, è accompagnata dall’evidenza di frequenti ricadute e dal non raro ricorrere di disturbi mnesici circoscritti, sia pure transitori. Controindicazioni In letteratura sono riportate controindicazioni organiche specifiche:

1. Lesioni cerebrali occupanti spazio

2. Ipertensione endocranica

3. Emorragia endocranica recente

4. Infarto miocardico e altre malattie cardiovascolari

5. Distacco retinico

6. Ipertensione grave

7. Feocromocitoma

8. Malattie degenerative gravi dell’apparato osteoarticolare

La letalità per TEC è intorno a 2-3 per 100.000 applicazioni somministrate, e per circa 1 per 10.000 pazienti trattati.

Reazioni avverse

Per quanto concerne gli effetti collaterali si segnala che: circa il 75% dei pazienti trattati con TEC presentano deficit mnesici transitori. Studi di follow up a 6 mesi dimostrano che a tale distanza temporale dalla TEC sono transitori.

Per quanto concerne la possibilità di danni cerebrali, recenti ricerche con tecniche RMN e TAC non hanno fornito evidenze di danni cerebrali permanenti dopo trattamenti elettroconvulsivanti.

Strutture di riferimento e apparecchiature

Preliminarmente si ritiene che la TEC debba essere praticata soltanto in strutture di ricovero pubbliche o private accreditate, in anestesia generale e miorisoluzione, alla presenza dello psichiatra e dell’anestesista. Pertanto tali strutture dovranno essere dotate di apparecchiature e medicamenti sia per l’anestesia, che per la rianimazione, comunque idonei a garantire la corretta esecuzione del trattamento, la sicurezza del paziente ed il trattamento delle possibili complicanze. l’apparecchiatura da utilizzare (ad onda quadra o sinusoidale) deve consentire di:

— Misurare l’impedenza elettrodo-paziente per evitare ustioni elettro-indotte

— Rendere possibile la scelta tra diverse combinazioni di intensità di corrente, frequenza, lunghezza dell’impulso e durata dello stimolo

— Monitorare e registrare elettrocardiogramma e elettroencefalogramma.

Si ricorda che i dati della letteratura indicano che la TEC unilaterale a basso voltaggio è sprovvista di attività antidepressiva, e non va pertanto utilizzata.

Protocolli esecutivi

Allo scopo di rendere omogenee le modalità di esecuzione e le valutazioni dei risultati, le linee guida devono prevedere protocolli scritti, eventualmente aggiornabili. Detti protocolli, oltre alle caratteristiche delle apparecchiature di cui sāè detto, devono riferirsi:

— alle verifiche dello stato clinico globale del paziente (per evidenziare le eventuali controindicazioni),

— alla preparazione del paziente (l’occorrente per l’anestesia: medicamenti e apparecchiature),

— alla gestione delle complicanze possibili,

— alla tecnica di somministrazione (unilaterale, bilaterale),

— al numero massimo di applicazioni per ogni ciclo di trattamento e agli intervalli fra un’applicazione e l’altra, e fra un ciclo di trattamento e l’altro,

— al monitoraggio e valutazione dello stato psicofisico del paziente nel periodo successivo ad ogni applicazione in comparazione allo stato precedente, sia riguardo ai sintomi che hanno suggerito il trattamento, sia riguardo al complessivo quadro clinico.

Consenso informato

La TEC può essere praticata solo quando il paziente esprime un consenso libero, consapevole, attuale e manifesto. A tal fine occorre che il medico curante fornisca, sia oralmente che in forma scritta, esaurienti informazioni in ordine, oltre che ai vantaggi attesi, agli effetti collaterali eventuali, ai possibili trattamenti alternativi, alle modalità di somministrazione. l’assenso del paziente deve essere scritto e allegato alla cartella clinica, e va ripetuto per ogni applicazione.

Nei casi in cui il paziente, in ragione della sua malattia, non sia in grado di esprimere liberamente il proprio assenso, il trattamento può essere praticato con il consenso del tutore legale, e tramite la procedura del TSO.

Monitoraggio, sorveglianza e valutazione

Considerando la non univocità dei dati di letteratura e le discordanze che caratterizzano il dibattito sulla TEC nella comunità scientifica, onde anche prevenire usi impropri si ritiene necessario attivare un sistema di sorveglianza per monitorare e valutare indicazioni, frequenze, procedure ed esiti delle applicazioni.

Per tale scopo, le Aziende USL mettono in atto procedure di valutazione e revisione della qualità, con modalità opportune quali il ricorso alla "pear review" (revisione fra professionisti alla pari) o tramite apposita commissione composta da professionisti esterni alla struttura ove si effettua il trattamento, secondo gli indirizzi dell’amministrazione regionale competente.

Il Ministro della Sanità, di concerto con le Regioni e le Province Autonome, emanerà apposite disposizioni per attivare un sistema di sorveglianza.

Considerazioni conclusive

Il ricorso alla terapia (TEC) deve essere riservata alle sole indicazioni d’uso sopra riportate, basate sulle attuali evidenze scientifiche. All’interno delle indicazioni d’uso, non vi sono evidenze che la possano far considerare più efficace di altri interventi terapeutici.

La TEC non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve necessariamente essere considerato all’interno di un programma terapeutico personalizzato integrato con altri interventi.

Tutto ciò premesso, si invitano le SS.LL. a voler diffondere il contenuto della presente nota presso le Aziende sanitarie e presso tutti i presidi sanitari, pubblici e privati accreditati.


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